E' sorprendente quanto sia diffusa la credenza che la musica esista o sia esistita prima di essere scoperta da compositore, esecutori e persino matematici.
Ontologie in plurale per indicare
non tanto la pluralità delle diverse musiche nel mondo quanto l'esistenza di
molteplici ontologie musicale che esistono sia a livello individuale e locale
sia su quello globale. Si tenta pertanto di disegnare una mappa sia delle
esperienze individuale sia dei paesaggi culturali di musiche "del mondo".
La "condizione
metafisica" della musica con cui noi occidentali abbiamo più familiarità è
quella di musica come oggetto. In quanto tale essa assume tratti, forme,
proprietà, con le rispettive denominazioni che attestano uno statuto oggettivo.
D'altra parte, la musica in occidente è percepita anche processo. Essendo i
processi delle condizioni fluide, in divenire, essi non assumono mai uno
statuto pienamente oggettivo. La musica in quanto processo è pertanto
svincolata e aperta e i nomi ad essa attribuiti sono inevitabilmente
incompleti.
Bohlman aggiunge a queste due
condizioni, da lui individuate per l'appunto come tipicamente occidentali, due
altre che attenuano le linee di demarcazione tra l'Occidente e il resto del
mondo.
Embeddedness: (non facile da
tradurre: è la condizione di ciò che è integrato, incluso, anche radicato) che
è la capacità della musica di integrarsi in altre attività fino ad essere
inseparabile da esse. In molti casi ciò significa che l'elemento musicale non
viene distinto con un nome o un riferimento specifico. L'integrazione o
'inclusività' può essere sistemica, come la 'musicalità' di una lingua, del
linguaggio tout court, o del mito. Essa può essere arbitraria, quando ai suoni
ambientali si attribuiscono qualità musicali.
Adumbration: Adombramento: quando
la musica di per sé non è presente, oppure la sua presenza è negata o vietata
(in certe circostanze di certe culture e religioni: l'avvertimento contro
l'aspetto dionisiaco della musica in Platone; il divieto ebraico degli
strumenti musicali nelle sinagoghe dopo la distruzione del tempio; la
negazione nel Corano di qualsiasi
qualità musicale della recitazione). Una zona d'ombra attraverso la quale si
intravedono altre modalità di concettualizzare la musica.
L'identità musicale collettiva si
sviluppa all'interno del gruppo e diventa sia un mezzo di riconoscimento e
comunicazione tra i suoi membri, sia uno strumento efficace per intensificare
la specializzazione e incrementare il valore del gruppo stesso fino a definirne
i contorni e i confini. Ad esempio i membri della casta dei costruttori di
tamburi nel sud Hindu dell'India, nominati pariah in Tamil. Loro usano la
propria competenza musicale come un mezzo per sovvertire la gerarchia delle caste.
Non potendo esibirsi in pubblico con certi tipi di musica di casta alta (ad
esempio il vina), i pariah puntano sulla
specificità e quindi esclusività del proprio patrimonio musicale per dar valore
e definire la propria appartenenza di casta.
E' sorprendente quanto sia
diffusa la credenza che la musica esista o sia esistita prima di essere
scoperta da compositore, esecutori e persino matematici. In Occidente ci sono
due tipologie di teorie ontologiche circa l'atto creativo in musica.
La prima concerne prevalentemente
i materiali della musica e di conseguenza gli atti che questi subiscono dalla
mano di un agente creativo: compositore, un cantore, l'aedo omerico, il gulsar
dei Balcani che combina formule musicali per costruirne un racconto epico.
La seconda concerne il fenomeno delle
opere musicali e le dinamiche attraverso le quali esse assumono un'identità
specifica. In Occidente questo avviene prevalentemente attraverso lanotazione
(anticamente si usava una notazione di origine greca che utilizzava le lettere
dell’alfabeto. Tale notazione è ancora in uso nei paesi di lingua inglese: A
= la · B = si · C = do · D = re · E = mi · F
= fa · G = sol.)
Ma esistono casi diversi: certe
comunità eschimese della parte nord-ovest dell'America del nord ritengono che
l'universo consiste di un numero finito di canzoni che gli individui ricevono
ed eseguono ma poi rilasciano di nuovo dentro l'infinito repertorio delimitato
dall'universo. Nella musica classica del sud dell'India l'identità del
compositore è più rilevante, ma esistono forme di composizioni vocali, ad
esempio il kriti che consiste di due frasi relazionate tra loro (asthayi e
antara) che vengono continuamente combinate ed elaborate in opere diverse
attraverso un processo di improvvisazione.
Musica in Natura
Il nesso tra musica e natura è
presente in un modo o l'altro nella maggior parte delle culture. Ad un estremo
del continuum troviamo la credenza che la musica esiste nella natura. All'altro
estremo la musica aspira verso la natura, ambisce ad emularla.
1) Il primo estremo genera una
"retorica delle metafore" utile per la creazione di un "sistema
di rappresentazione" di cui l'emblema più ricorrente è il canto degli
uccelli rappresentato dalla voce naturale (i Kauli di Papua della Nuova Guinea,i
giochi vocali chiamati kattajjait degli Inuit del circuito polare tra Canada e
Greenland) o da strumenti musicali in composizioni scritte. In questi casi la
musica suona come la natura.
2) La seconda tipologia riconosce
i confini tra natura e musica, confini che le procedure compositive e performative
possono sublimare stilizzando la rappresentazione senza con ciò cancellarne le
tracce.
Presso i Wagogo dell'Africa
sud-orientale, ad esempio, delle performances musicali collettive possono
rappresentare interi paesaggi sonori della natura delineando un parallelo tra
società e natura.
La musica come Scienza
«"Musica est scientia bene
modulandi" secondo S. Agostino.
Pronunciamenti sulla capacità della musica di essere scienza - di provvedere un
modo della conoscenza - sono spesso le prime tracce di ontologie della musica.
La cosa importante è che la musica è [effettivamente] un veicolo che ci aiuta a
conoscere. Ciò che la musica ci fa conoscere diverge drammaticamente secondo le
operazioni in cui essa è integrata. Più tali operazioni scientifiche sono agite
sulla musica, e più emerge una sua identità-di-sé [auto-identità] (Musik an
sich, musica in e per se stessa); tuttavia, paradossalmente, quella
auto-identità ha sempre meno a che fare con la prassi. Tuttavia, la scissione
ontologica tra teoria scientifica e prassi non si espande senza fine. Al
contrario, esiste una tensione tra scienza e prassi, che rende necessario
utilizzare l'una come una fonte dell'altra. Pratiche moderne della musica araba
manifestano ancora delle somiglianze con la teoria modale dell'XI secolo
dimostrando che la prassi contemporanea non ha abbandonato la scienza come un
modalità del sapere musicale.»
La musica come linguaggio
«Perché la musica dovrebbe
acquisire l'universalità egemonica che il termine tedesco die Musik ('la
musica') ['the music'] le assegna? Perché dovrebbe possedere la presenza
relativistica che il termine etnomusicologico "musiche" ('musics') le
accorda? Strategie nominaliste sono straordinariamente importanti nelle
politiche che le ontologie della musica spesso implicano. "La Musica"
appartiene a un gruppo privilegiato con specifico statuto educativo ed
economico, non meno che le pratiche della musica d'arte nell'India del sud
appartengano all'alta casta dei Bramini, o che le pratiche elitarie in Cina
apparengano ad un'intelligenzia che deriva il proprio potere dalle teorie
sociali di Confucio. Circoscrivere l'ontologia della musica in singolare non
solo vende enciclopedie ma procura anche una base di potere imperiale e di
controllo intellettuale.
Per mezzo del linguaggio si
ottiene dunque un'oggettivazione e un 'confinamento' della musica, che
sarebbero impossibili con il mezzo dell'esperienza o dell'immaginazione
individuale. «L'atto di nominare rende possibile una vasta rete di connessioni.
In realtà, seguendo semplicemente
la segnaletica stradale che lo conduce dalla musica immediatamente accessibile
all'universo di tutta la musica (tutte le musiche), l'individuo è
potenzialmente connesso a ciascuno e a tutti i fenomeni musicali.»
La Voce di Dio
«Ne La vita di Maometto di Ibn
Ishaq [704 - 767] incontriamo una delle più profonde ed eloquenti rivelazioni
ontologiche della voce di Dio attraverso la recitazione e le pratiche
musicali.» Egli racconta l'apparizione nel sogno dell'angelo Gabriele che insorge
Maometto con l'imperativo "Leggi!", alla domanda del Profeta
"che cosa devo leggere?" la risposta insistente è sempre la stessa:
"Leggi!" :
Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato, ha creato l'uomo da
un'aderenza.
Leggi, ché il tuo Signore è il Generosissimo, Colui che ha insegnato
mediante il càlamo, che ha insegnato all'uomo quello che non sapeva. (Il
Corano, Sura 96: 1-5)
Maometto obbedisce, e quando si
sveglia le parole recitate sono "come
se fossero scritte nel mio cuore."
«La rivelazione della voce di Dio
è diretta, mediata soltanto dal recipiente del corpo che riceve e poi recita la
voce così come l'ha ricevuta. Il concetto dell'umano come recipiente per la
voce di Dio provvede un momento ontologico comune, che è in realtà il notevole
accoppiamento di Dio e gli uomini attraverso la voce e la musica. La dipendenza
[tra rivelazione e recitazione] è realizzata a sua volta attraverso una
traiettoria che ha inizio con Dio e culmina nella recitazione di una voce - nel
caso dell'Islam la recitazione (qira'ah) delle parole reificate come testo
sempre già in performance, il Corano. Il sacro diventa quotidiano attraverso la
performance musicale.»
Ontologie che iniziano con il
quotidiano generano diverse traiettorie di performance musicale che aspirano,
per così dire, al sacro. La musica eleva il quotidiano modulando la voce della
prassi quotidiana in una prassi sacra. Nel quotidiano questa funzione di
trasformazione della voce umana in una voce divina è ottenuta dal rituale
[rito].» Ciò avviene ad esempio nei pellegrinaggi, nelle processioni religiose.
Nelle note / Fuori dalle note
Bohlman parte dal presupposto che
«La notazione musicale serve come riconoscimento del fatto che la musica non
può essere adeguatamente scritta. [Perché] Qualcosa sparisce o si modifica nel
corso di una tradizione e di una performance orale, e i suoni che le note
rappresentano recuperano il più possibile di quel suono. Le note sono le tracce
di molte esecuzioni.»
Nel Tempo / Fuori dal Tempo
In questo paragrafo (che contiene
alcuni punti oscuri) Bohlman affronta il mega-concetto di musica e TEMPO.
Tocca rapidamente questioni
fondamentali quali il silenzio (sarebbe questo il "outside time"); le
scansioni temporali della vita dell'uomo (stagioni, epoche, periodi, orari) e
le metafore che ne conseguono; la memoria e la capacità della musica, per virtù
della sua «presenza ontologica nel e fuori del tempo», di attraversare i
confini tra narrative dell'esperienza e quelle simboliche, e di integrarsi «in
processi cognitivi e spirituali della conoscenza di esperienze e mondi altrui.»
Il paragrafo è interessante
soprattutto per i riferimenti che fa a esperienze concrete fuori dal canone
della musica occidentale:
1) «Nella musica giapponese la
nozione del vuoto, nota come ma, è estremamente importante. Ma è il silenzio
tra suoni, ma la sua ontologia non è determinata dai suoni che lo circondano.
Diversamente dal silenzio di una pausa nella musica occidentale, ma non inizia
quando finisce il suono che lo precede e non cessa quando il suono ricomincia.
Ma è percepito e ponderato in quanto tale; esso si definisce per mezzo della
propria vacuità, della propria ontologica esistenza fuori del tempo.»
2) «L'atto di ricordare nei
rituali Sufi, denominati zikr (memoria) porta il credente vicino a Dio sia
spiritualmente che fisicamente attraverso la ripetizione del nome di Allah e
dei principali epiteti che richiamano la sua essenza.»
3) «La memoria è fondamentale per
le connessioni temporali verso il passato che gli Aborigeni dell'Australia
vedono come attributo della musica - connessioni che esemplificano la memoria
del passato ancestrale attraverso delle time-line per mezzo delle quali il
passato diventa presente, o più precisamente il mito si trasforma da uno stato
senza tempo in una condizione [reale] delimitata dal canto.»
4) La capacità del canto epico di
«negoziare tra i mondi del mito e della storia» si esemplifica nei poemi
omerici, le epiche Hindu così come si presentano nella musica classica
dell'India del sud e nel wayang giavanese.
Dalla bellezza
musicale /Alla normalità musicale
In questo paragrafo Bohlman
affronta il concetto del "bello musicale". Da un punto di vista
epistemologico l'argomentazione iniziale risulta assai problematica perché vi manca una chiara
distinzione tra il bello in musica e il con quello del bello nella sua
accezione generale nell'estetica occidentale. Emergono tuttavia due punti
importanti:
1) La frizione tra l'esigenza -
tutta occidentale - di bellezza del costrutto musicale, e l'aspetto funzionale
della musica. Musiche non-occidentali che hanno primariamente una funzione
sociale e rituale.
«La diffusa natura
non-rimarcabile della musica risulta direttamente dalla sua condizione di
ontologica inclusione: la musica è talmente partecipe ad altre pratiche
sociali, che non c'è bisogno di separarla da esse o di attribuirle delle
qualità particolari.» Ecco perché in
molte culture la musica non ha un nome specifico. Persino nella musica dei
gamelan (nota per la sua 'artisticità') non c'è una tradizione storica di
uditori che si staccano da altre attività per ascoltare la musica attentamente.
La musica giavanese (come tanta altra musica non occidentale) trae la propria
efficacia dall'accompagnamento di attività quali la narrazione, il dramma, e
altre pratiche rituali e sociali della corte e del villaggio.
Suono Autentico / Suono
Registrato
Bohlman parte dall'indiscutibile
premessa che «Le tecnologie di riproduzione del suono confondono radicalmente
le ontologie della musica.»
Nel Corpo / Lontano dal Corpo
L'allontanamento del e dal corpo
umano messo in atto dalle moderne tecnologie di riproduzione è, secondo la
premessa non priva di difficoltà di Bohlman, un'espressione di paure profonde
che vanno al di là delle dinamiche di controllo e di manipolazione che
l'industria musicale permette e incoraggia.
Il coinvolgimento del corpo nella
produzione di musica presentava un problema per le religioni e il rimedio è
spesso stato una divisione di categorie e di ruoli. [Platone distingue tra la
musica virtuosa rappresentata dalla lira, e quella insidiosa rappresentata
dall'aulos]. Quando l'Islam ha cominciato a tenere la musica in sospetto, si è
creata la categoria di musica strumentale [pura rispetto a quella vocale -
carnale e sensuale] indicata con il termine musiqa o musiqi preso in prestito al greco / latino.
I musicisti erano spesso 'altri',
provenienti dalle minoranze protette degli ebrei e dei cristiani.
[L'affidamento delle funzioni musicali a caste separate è presente già nella
Bibbia ebraica; i Leviti che erano addetti alla musica fin dal tempio
provvisorio durante la permanenza del popolo d'Israele nel deserto]. «Sentire e
ascoltare (sama) erano fisicamente separati dal suonare e dall'eseguire,
risolvendo così, almeno parzialmente, la tensione che risulta dalla presenza
ontologica del corpo nella musica.»
Le ontologie della musica occupano
un ambito filosofico importante non solo per coloro che pensano sulla musica.
Esse risiedono nella dimensione fisica e quotidiana; in quella del bello e
dello spirituale; nelle Storie passate e nei miti sul futuro. Sono sparse
attraverso l'intero spettor dell'esperienza umana. Pensare la musica e
vivendola sono pratiche umane basilari.
I concetti ontologici esposti in
questo saggio non sono isolati in sé né lo sono uno dall'altro. Mentre alcuni
di questi concetti possano essere predominanti in certe culture, o persino
fondamentali per i costrutti di una determinata cultura rispetto a che cos'è
musica e che cosa non lo è, essi non dividono il mondo in differenti regioni.
Le ontologie della musica in Occidente non sono più o meno numerose di quelle,
create dall'Occidente, di 'altre' culture e popoli. Le tecnologie influenzano
virtualmente tutte queste ontologie, e molte di quelle che sono state qui discusse
hanno determinato il modo in cui le tecnologie hanno dato forma al modo in cui
gli uomini immagina la musica. Musica come oggetto e musica come processo
possono suggerire condizioni che descrivono la musica in diversi stadi di
produzione e riproduzione ma, nonostante ciò, oggetto e processo dipendono da
entrambe. L'inclusione della musica nei contesti di tempo e di spazio, nella
storia e nella cultura, generano inoltre le condizioni di adombramento: il
nesso della musica con pratiche culturali in cui essa non partecipa
direttamente. L'interrelazione di queste condizioni metafisiche è una metonimia
suggestiva delle ontologie della musica.
IN conclusione, ritorno al
plurale che ha servito come punto di partenza per questo saggio. Se si intende
usare 'ontologie' in plurale, non si dovrebbe fare la stessa cosa con
'musiche'? Se mantengo 'musica' in singolare, ciò non significa forse che sto
capitolando la premessa ontologica dell'Occidente? Sì e no. Sì, perché
ontologie musicali non si occupano di una singola nozione di musica. No, perché
la nozione di musica è internamente complessa e multipla. I processi che
conducono all'immaginazione e alla costruzione di un'ontologia musicale mirano
ad un'ontologia che esprima e risieda in qualche intendimento di auto-identità.
Lungi dalla negazione di altre musiche e altre ontologie, tale identità dipende
da esse. Un'ontologia individuale della musica disegna quindi il paesaggio
musicale globale da prospettive locali, e immagina che cosa sia la musica
secondo le condizioni che determinano quelle prospettive. Mentre dipende da una
distinzione tra il sé e l'altro, ogni ontologia offusca tale distinzione; il sé
è inteso come intrecciato con un altro.
Ontologicamente, la musica è
immaginata e concepita più tramite l'atto di 'ripensare' che tramite quello di
'pensare'. 'Pensare la musica' privilegia
una modalità cognitiva di intendere la musica; essa procede con la
certezza che il sé, in ultima analisi, è conoscibile. 'Ripensare la musica'
procede soltanto nervosamente, senza la convinzione che qualsiasi processo
ontologico sia in fondo conoscibile; noi ripensiamo la musica credendo che
qualcosa sia stato perso nel giro precedente. 'Ripensare la musica' mina il
'pensare la musica' e va oltre. E ancora più importane: ripensare la musica ci chiede di situare la
nostra comprensione della musica in altre esperienze del fare musica, nelle
pratiche umane di dare vita alla musica attraverso il rituale e la fede,
l'azione e l'immaginazione, e anche, sì, attraverso il pensiero.»
Riassunto del saggio di Philip V. Bohlman,
Ontologies of Music
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